«Perché ce l’hanno con me?» È sufficiente una parola offensiva, l’esclusione da una festa e il mondo per un ragazzino si spegne. La prepotenza riguarda maschi e femmine, seppure con modalità diverse. I bambini possono diventare crudeli, si sa, e il fragile, il diverso o anche l’invidiato dal leader di turno diventa il bersaglio. L’empatia tra i banchi di scuola è ai minimi storici, lo segnala l’Istat: un ragazzino su tre subisce atti prevaricatori - bambine e immigrati più degli altri -, gli abusi tra pari sono in aumento persino alle elementari. Certo, il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo è quello più macroscopico ed estremo, ma assistiamo a una cattiveria 2.0 alla quale, come genitori e insegnanti, non eravamo preparati.
Quando noi eravamo bambini, trovavamo i modelli nella scuola, nello sport e in famiglia, ambienti in cui le regole erano la norma. Oggi i modelli si pescano tra i nuovi media. Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Minotauro e autore di Abbiamo bisogno di genitori autorevoli (Mondadori),
ci dà la chiave di lettura della differenza generazionale e dei suoi effetti: «Si è passati da una famiglia “normativa” a una “affettiva”, che spinge all’adultizzazione del bambino, assecondando i suoi talenti, promuovendo la sua creatività, spalmando di consensi la sua crescita e favorendo in tal modo il narcisismo, con corredo d’individualismo e spavalderia. I nostri figli assorbono i “valori” da internet, dai talent, dai libri degli youtuber, dove viene promossa la conquista di followers, la popolarità e l’aver successo a tutti i costi. La prevaricazione diventa il modo di mettersi comunque in mostra tra coetanei».
ci dà la chiave di lettura della differenza generazionale e dei suoi effetti: «Si è passati da una famiglia “normativa” a una “affettiva”, che spinge all’adultizzazione del bambino, assecondando i suoi talenti, promuovendo la sua creatività, spalmando di consensi la sua crescita e favorendo in tal modo il narcisismo, con corredo d’individualismo e spavalderia. I nostri figli assorbono i “valori” da internet, dai talent, dai libri degli youtuber, dove viene promossa la conquista di followers, la popolarità e l’aver successo a tutti i costi. La prevaricazione diventa il modo di mettersi comunque in mostra tra coetanei».
I presi di mira ci sono sempre stati in ogni classe, una sorta di rito d’iniziazione a ogni ingresso in una comunità. Il prepotente detesta i non emancipati, i “mammoni”, quelli che non giocano a calcio e non si uniformano al gruppo. Al contrario, tra femmine la violenza è indiretta e più sottile, all’azione diretta si sostituisce spesso l’esclusione, il pettegolezzo e la diceria. Le parole, e ciò vale per maschi e femmine nella fragilità della giovinezza, feriscono nel profondo. E poi c’è la paura del giudizio, lo racconta bene il film culto Un bacio di Ivan Cotroneo, che lo stesso autore e regista ha presentato in tour dalle scuole medie in su, con il supporto di Rai Cinema e del Garante per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
«Se eri in sovrappeso, imbranato e non facevi segnare la squadra, in spogliatoio magari ti tiravano giù i pantaloni, ci si vergognava e finiva lì. Ora si viene fotografati, fatto un fotomontaggio, postato in rete e in due minuti lo vede tutta la scuola e non si sa se siano più i like a far star male o l’inarrestabile ripetitività del messaggio». Stop, ci vogliono regole: lo dice Lisa Di Berardino, vicequestore aggiunto di Polizia Postale e delle Comunicazioni di Milano, nonché mamma. «Se il regalo più richiesto per la promozione è lo smartphone, il contratto con il figlio deve essere chiaro da subito: i genitori hanno facoltà di controllare la rubrica dei contatti, con chi si condivide su Instagram e di vedere i video postati, su musical.ly o qualsiasi altra app. Non si tratta di violazione di privacy, è un obbligo di legge, non a caso la sim è intestata a un genitore. Io ho preso l’abitudine di fare spesso un giro in rete con mio figlio, partecipo a quello che segue, meglio prevenire che denunciare».
Per fortuna la scuola affronta con maggior frequenza e consapevolezza l’aggressività relazionale e gli atti discriminatori tra compagni. Tra le dirigenti Miur - il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - la voce di Delia Campanelli è un’autorità: «Si deve educare all’accettazione. Non è da adesso che avvertiamo le difficoltà dei bambini nello stabilire relazioni di rispetto e solidarietà tra di loro. La scuola ha attivato il progetto Generazioni Connesse
con il Ministero dell’Interno, la Polizia Postale e Telefono Azzurro, e per la prima volta sta prendendo forma un piano nazionale di formazione della docenza, per accrescere le competenze psico-pedagogiche su questi temi. I singoli istituti, poi, ogni anno devono elaborare progetti per l’inclusione, in modo da aiutare gli studenti a superare i momenti di criticità, il rifiuto, la discriminazione. Per stare bene a scuola si promuovono laboratori, film, incontri culturali. Il successo passa da qui. Noi ci impegniamo, ma l’obiettivo lo raggiungiamo solo con lo sforzo congiunto di scuola e famiglia».

«Non ci sono bambini buoni o cattivi di per sé, c'è bisogno di adulti che li aiutino a diventare gentili, rispettosi e responsabili verso la comunità di cui fanno parte dando il buon esempio», suggerisce Alli Beltrame, counselor del progetto di formazione Educazione Responsabile.
«Quando si cena in famiglia e raccontiamo la nostra giornata, evitiamo di screditare il collega di lavoro o l’impiegato alla posta; se escludiamo dalle feste la zia, se ci lamentiamo degli amici e deridiamo le persone per strada, promuoviamo intolleranza e discriminazione. I bambini si sentiranno autorizzati allo stesso atteggiamento. Riflettiamo e facciamoli riflettere: come ci sentiremmo se fossimo disprezzati?».
«Quando si cena in famiglia e raccontiamo la nostra giornata, evitiamo di screditare il collega di lavoro o l’impiegato alla posta; se escludiamo dalle feste la zia, se ci lamentiamo degli amici e deridiamo le persone per strada, promuoviamo intolleranza e discriminazione. I bambini si sentiranno autorizzati allo stesso atteggiamento. Riflettiamo e facciamoli riflettere: come ci sentiremmo se fossimo disprezzati?».